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Orsetto e il letargo
Ecco una fiaba per piccoli dai 4 anni. La storia di un baby orso che non vuole andare in letargo...metafora dei bimbi che rimandano sempre la nanna della sera!
L'ha ideata e scritta Silvia Merico di Crema

Mamma orsa aveva provato di tutto: le spiegazioni più dettagliate, la dolce persuasione, la promessa di un grosso favo pieno di miele solo per lui in primavera, aveva persino cercato di mettergli un po’ di paura, raccontando storie di inverni gelidi e senza una ghianda da mangiare. Tutto inutile, Orsetto non ne voleva sapere di andare in letargo. Lui non riusciva proprio a capire perché si debbano trascorrere mesi e mesi in un tana a sonnecchiare, senza giocare, senza correre e soprattutto senza mangiare. “Non voglio spegnermi!”- ripeteva continuamente alla mamma. “Noi orsi –gli aveva spiegato più volte lei- dobbiamo trascorrere l’inverno in un rifugio, riposare e non sprecare troppe energie. Fa freddo e il cibo scarseggia: meglio dormirci sopra”.
Alla fine di ottobre, costretta dalla testardaggine del suo piccolo, mamma orsa decise di concedergli ancora un mesetto di libertà, malgrado il buon senso suggerisse alle femmine e agli ultimi nati di ritirarsi per tempo; tuttavia era un autunno mite e si trovavano ancora con facilità carote selvatiche e sedano dei prati. Ma alla fine di novembre la mamma fu irremovibile e condusse l’orsetto in una confortevole cavità rocciosa, si stese accanto agli altri componenti del branco e prese vicino a sé il piccolo, sperando di conciliargli il sonno con il calore del suo grande corpo.
Lui chiuse gli occhi ma non era capace di stare fermo, senza fare nulla; quindi incominciò a pensare, immaginando le ciliegie, i lamponi e le fragole selvatiche che avrebbe mangiato l’estate successiva. Ma il sonno non arrivava. Cambiò posizione un paio di volte, raggomitolandosi contro la pancia morbida della mamma ma il richiamo della libertà fu più forte. Quando il respiro dell’orsa si fece regolare e pesante (stava già dormendo…ma come faceva??) il piccolo si allontanò da lei e sgattaiolò fuori dalla tana.
Era pomeriggio e l’aria era ancora piena di luce, quindi si sentì rassicurato dal sole e dalla vita del bosco. Corse verso la quercia dei passeri e li salutò con gioia, quasi fiero della sua ribellione alle “sciocche” regole del letargo. Incontrò anche gli amici topolini e riuscì persino a farsi una scorpacciata di formiche.
Merli e pettirossi svolazzavano numerosi da un albero all’altro, rallegrando con fischi e canti l’ambiente umido della boscaglia ma non c’era traccia di Toby il procione e neppure incontrò i simpatici scoiattoli con i quali aveva trascorso l’estate. “Sono tutti in letargo! E tu cosa fai in giro? che aspetti a ritirarti? – gli disse seccamente un gufo appollaiato sul grande olmo, già pronto per la sua battuta di caccia notturna.
Intanto si stava facendo sera: Orsetto si era allontanato parecchio dal rifugio dove riposava la sua famiglia e nel frattempo il cielo si era affollato di nuvole scure. Si fermò a fiutare l’aria: sapeva di pioggia. Si guardò in giro e vide in lontananza un lupo che si muoveva velocemente verso la montagna; anche le volpi correvano mentre stranamente gli uccelli non volavano più.
Orsetto non aveva esperienza di temporali improvvisi e di vento gelido: la mamma aveva sempre provveduto a proteggerlo quando la natura si faceva severa, trovando per tempo un rifugio alle intemperie. La sua imprudente spavalderia lo stava abbandonando, lasciando spazio al timore, anzi di più, allo spavento. Iniziò a piovere forte.
Si sentì smarrito e triste: la sua sicurezza iniziale era svanita e cominciava anche ad essere molto stanco, persino assonnato. Oltre la radura vide un grande abete: i suoi possenti rami sembravano formare un grande ombrello sotto al quale la terra era quasi asciutta. Corse verso l’albero e si accoccolò contro il tronco ruvido. Sonno, fame, voglia di coccole si impossessarono di lui, tutte sensazioni ben conosciute e che di solito venivano subito soddisfatte dalla mamma. Ma lei non c’era e si sentiva solo. Iniziò ad emettere un lamento, alternato a singhiozzi e mugolii. La pioggia batteva forte sui rami degli alberi e sulle foglie cadute che formavano un tappeto lucido e bagnato, anche gli uccelli erano silenziosi di fronte al bosco trasformato dall’acquazzone.
Chissà come, chissà perché anche il placido sonno di mamma orsa venne turbato, malgrado la sua tana fosse ben riparata e profonda. Il suo fu un risveglio improvviso, come se qualcuno le avesse sussurrato qualcosa all’orecchio. Notò subito che Orsetto non era accanto a lei e il suo cuore iniziò a battere all’impazzata. Si alzò dal suo comodo e caldo giaciglio e si affacciò all’ingresso della grotta: imperversava la tempesta, chissà dov’era il suo piccolo! Senza pensarci un attimo corse fuori e iniziò a chiamarlo ma la sua voce restò senza risposta. Si avventurò nel bosco chiamando “Orsetto…Orsetto mio…”. Un passerotto si affacciò timidamente dal nido e le indicò la direzione da prendere: aveva visto Orsetto qualche ora prima e non l’aveva visto ritornare. Mamma orsa cercò di scoprire il percorso del piccolo osservando le tracce per terra ma era molto difficile, la pioggia le aveva quasi del tutto cancellate. Camminò, camminò a lungo senza fermarsi, senza smettere di chiamarlo e ad un certo punto lo vide, addormentato, raggomitolato sotto il vecchio e ruvido abete dove gli orsi erano soliti grattarsi la schiena: l’istinto lo aveva condotto ad un luogo familiare –pensò mamma orsa rincuorata. Si avvicinò e lo prese tra le braccia: lui si svegliò credendo di sognare e la strinse forte, concedendosi finalmente un pianto dirotto (ora poteva smettere di fare il coraggioso, c’era la mamma…).
Lei gli disse: “Non c’è bisogno che io aggiunga altro, vero? Sono sicura che questo spavento vale molto di più di tante parole” e lo abbracciò così forte che Orsetto non aveva più un briciolo di paura o di freddo.
Insieme raggiunsero la tana, “…il posto più bello del mondo” –pensò il piccolo orso. Si accoccolarono sulla terra asciutta, vicini vicini e Orsetto chiuse gli occhi, piombando all’istante in un sonno profondo.
Era finalmente incominciato il suo letargo.

SILVIA MERICO
(nella foto a fianco)

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29/01/2009




 
 
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